RELAZIONE MAZZOLA
La nostra vita come prossimità al mistero dell’incarnazione, morte e resurrezione del Signore Gesù
Un’ipotesi di partenza: la scarsa sensibilità, che il nostro tempo registra, al tema della vocazione laicale proviene non primariamente da una diminuita attenzione alla realtà del mondo, ma anzitutto da una perdita del senso di Dio
Dalla contemplazione del mistero trinitario nasce la comprensione autentica della vocazione del cristiano; la vita cristiana è partecipazione alla vita trinitaria.
Il battesimo ci rende misteriosamente partecipi della vita, morte e resurrezione di Gesù: ma questo cosa significa per la nostra vita?
Guardare a Gesù rivelazione piena del Padre e opera perfetta dello Spirito, eppure uomo del suo tempo: come ha vissuto? In che modo ha mostrato l’intenzione del Padre?
La parabola umana di Gesù: venne per ricondurci a casa, per riaprirci la strada del Paradiso, ma i suoi segni non generarono la fede e i suoi discepoli non compresero; solo l’offerta incondizionata della vita ha potuto aprire una breccia nel cuore indurito dell’uomo.
Partecipare della morte e resurrezione di Gesù significa che, anche per noi, come per Gesù, la salvezza del mondo passa per l’offerta della vita. Si tratta di morire!
Si muore quando si resta fedeli al proprio dovere, alla competenza, alla legalità, alla trasparenza, alla parrhesia, ed altri più scaltri la fanno da padroni. Si muore quando, nella fedeltà, non si percepisce il frutto della consegna della propria vita a Dio, nel contesto quotidiano che è di tutti gli uomini (la verginità è un anticipo di morte). Quando cioè ci si domanda: ‘cosa ci sto a fare qui? A che cosa serve l’offerta della mia vita in questo contesto indifferente?’ È l’esperienza di Gesù nel Getsemani.
Così fu per Gesù, così è per il cristiano: il luogo dell’offerta a Dio è la nostra vita. Questo è il contributo degli Istituti secolari alla Chiesa: la vita – la nostra vita – è chiamata ad essere il luogo della rivelazione del Padre.
Non dobbiamo pensare ad altri luoghi; la vita “ci basta”. Sarà essa ad indicarci i tempi ed i modi della nostra fedeltà a Dio. Invece noi cristiani spesso pensiamo di dover aggiungere qualcosa di “nostro”, di proprio. Ci fidiamo poco dell’ordinario, cerchiamo lo straordinario o comunque cerchiamo luoghi a noi consoni, spesso protetti. È la reazione del profeta Giona dinnanzi alla chiamata del Signore: preferì scegliersi da solo il territorio della missione.
È l’intuizione del felice ed audace testo del Primo Feliciter: “non tantum in saeculo, sed veluti ex saeculo”. Il mondo non è semplicemente il luogo dell’apostolato (pensato da fuori e poi portato dentro), ma in esso, attraverso le sue relazioni e le sue attività, scopriamo che ogni realtà secolare è soprannaturale, perché tutto il mondo è creato da Dio e ordinato da Lui e a Lui.
“È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui” (Col 2,9-10a)
Si dovrebbe dire di più: il Verbo, il Logos divino, abita l’esperienza umana, perciò questa è espressiva del Verbo. Così si spiega l’emozione autentica e profonda che si prova quando si incontrano le espressioni più alte del vivere umano: l’amore, l’amicizia, ma anche una musica, un romanzo, un affresco, un film, il canto di un coro, il viso di un bambino, ma anche un lavoro ben fatto, un’intesa, un’equazione perfetta….
Ecco il nostro stile di vita: cercare e mostrare i segni della presenza del Verbo nel vivere ordinario: con una vita bella, e sapendo indicare là dove l’esistenza mostra le tracce della presenza corporale del Verbo. “Il luogo del vostro apostolato è perciò tutto l’umano” (Benedetto XVI ai partecipanti alla Conferenza Mondiale degli Istituti Secolari, 3.2.2007)
La povertà di Gesù come cuore e carattere distintivo del nostro stile di vita
Imparare la povertà contemplando il cuore povero di Gesù.
Finché non diventeremo poveri, non faremo nulla di cristiano.
È la povertà di chi accetta la vita, con i suoi limiti, le sue opposizioni, e in essa affida tutto al Signore, compreso il frutto, spesso nascosto, della nostra fedeltà.
È la povertà di chi accetta di cercare con fatica la Parola che Dio ha da dire sul mondo.
Il nostro stile di cristiani nel mondo, invece, è spesso quello di chi sa già tutto quello che c’è da dire sulla vita. Ma questo atteggiamento chiude molte porte. Gesù si è fatto servo e si è definito come servo. Il servo è colui che non ha un proprio programma, non decide della sua vita, essendo in tutto determinato dalla volontà del padrone.
La mancanza di un segno distintivo nel vestire o di una comunità visibile ha un significato non solo pratico ma anche e soprattutto spirituale: è la povertà di chi non vuole avere privilegi o protezioni.
“A voi non è chiesto di istituire particolari forme di vita, di impegno apostolico, di interventi sociali, se non quelli che possono nascere nelle relazioni personali, fonti di ricchezza profetica.” (Benedetto XVI ai partecipanti alla Conferenza Mondiale degli Istituti Secolari, 3.2.2007)
La povertà di chi rinuncia a fare qualcosa di “proprio”, da possedere: invece oggi si assiste al dominio del protagonismo e dei particolarismi, così nocivo per la vita cristiana.
La povertà di chi non si basa sulle grandi opere, per poter essere pienamente docile allo Spirito; la povertà di chi davvero crede che “la grazia ci basta”.
Anche la Chiesa è chiamata ad essere povera, a non mettersi troppo al centro. La Chiesa deve mettere al centro della propria vita Gesù povero, la Sua povertà. Non quindi – anzitutto – l’aiuto ai poveri, pur importantissimo, ma la propria povertà, non tanto e non solo di mezzi materiali, ma di efficienza, di attivismo, di frenesia.
Questa povertà diventa sobrietà di iniziative: di fronte alla situazione attuale, il moltiplicarsi di gruppi e gruppetti, di libri e riviste, di meeting/equipe/corsi di aggiornamento/scuole di evangelizzazione, ecc. appare un contrasto sempre più evidente. Non si dice che lo studio non serva, anzi, tutt’altro. Però la vita cristiana va ricondotta al suo essenziale.
Sobrietà di linguaggio: noi abbiamo la Sacra Scrittura e una straordinaria Liturgia (quando non la guastiamo). Serve molto altro? Tra i cristiani il comandamento più violato è probabilmente il secondo: Non nominare il nome di Dio invano. Troppe parole dette senza rispetto e consapevolezza della presenza della Maestà divina.
In secondo luogo, il nostro linguaggio religioso (parole, gesti, immagini, ecc.) deve purificarsi dal devozionalismo e dalla consuetudine, per poter essere un linguaggio che incontra la vita interiore degli uomini e donne di questo tempo: questo è un campo nel quale gli Istituti secolari possono dare un contributo importante!
Ci sono alcuni casi tipici che mostrano come la consuetudine ha lasciato fuori il vangelo o ha generato un linguaggio vuoto (le iniziative contro la fame del mondo o le raccolte di denaro a favore di qualche progetto, la preghiera dei fedeli, ecc.). Altri casi invece mostrano che si sta facendo strada un linguaggio pagano: si pensi a certi canti, al ritmo delle feste; si pensi alla cattiva abitudine di applaudire, che introduce un culto pagano della persona. Ma il vangelo non è così! Quando abbiamo fatto ciò che dovevamo fare, ci ricordiamo che siamo servi inutili.
Conclusione: la lettera per il battesimo del nipote dal diario di Dietrich Bonhoeffer.
“Oggi sarai battezzato affinché tu divenga cristiano…” (Resistenza e resa, Pensieri per il giorno del battesimo di Dietrich Wilhelm Rüdiger Betghe, maggio 1944)
Giovedì 23 luglio
Mons. Adriano Tessarollo
Assistenete Eccelesiastico del Consiglio della Federazione
Prima Relazione
- “Il Regno di Dio è… giustizia, pace e gioia mediante lo Spirito: chi serve il Cristo in queste cose è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini” (Rm 14,17). I valori della vita secolare
Papa Paolo VI nel suo Discorso ai partecipanti al I Convegno Internazionale degli Istituti Secolari nel 1970, tra le altre cose diceva:
“Viene così delineato con chiarezza il cammino della vostra santificazione:
– l’adesione oblativa al disegno salvifico manifestato nella Parola rivelata,
– la solidarietà con la storia,
– la ricerca della volontà del Signore iscritta nelle vicende umane governate dalla sua provvidenza.
E nello stesso tempo si individuano i caratteri della missione secolare:
– la testimonianza delle virtù umane, quali « la giustizia, la pace, la gioia » (Rm 14, 17),
– la « bella condotta di vita », di cui parla Pietro nella sua Prima Lettera (cfr 2, 12) echeggiando la parola del Maestro: « Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli » (Mt 5, 16).
Fa inoltre parte della missione secolare l’impegno per la costruzione di una società che riconosca nei vari ambiti la dignità della persona e i valori irrinunciabili per la sua piena realizzazione: dalla politica all’economia, dall’educazione all’impegno per la salute pubblica, dalla gestione dei servizi alla ricerca scientifica.
Ogni realtà propria e specifica vissuta dal cristiano, il proprio lavoro e i propri concreti interessi, pur conservando la loro relativa consistenza, trovano il loro fine ultimo nell’essere abbracciati dallo stesso scopo per cui il Figlio di Dio è entrato nel mondo”.
Ed esortava ancora dicendo:
“Sentitevi, pertanto, chiamati in causa da ogni dolore, da ogni ingiustizia, così come da ogni ricerca di verità, di bellezza e di bontà, non perché abbiate la soluzione di tutti i problemi, ma perché ogni circostanza in cui l’uomo vive e muore costituisce per voi l’occasione di testimoniare l’opera salvifica di Dio. È questa la vostra missione. La vostra consacrazione evidenzia, da un lato, la particolare grazia che vi viene dallo Spirito per la realizzazione della vocazione, dall’altro, vi impegna ad una totale docilità di mente, di cuore e di volontà al progetto di Dio Padre rivelato in Cristo Gesù, alla cui sequela radicale siete stati chiamati”.
La consacrazione secolare evidenzia i due aspetti della vita cristiana: la relazione con Dio vissuta come totale appartenenza a lui nella consacrazione attraverso i consigli evangelici e la relazione con gli uomini caratterizzata dalla testimonianza nell’impegno nelle realtà temporali. E’ soprattutto questo secondo aspetto che in questo Convegno viene preso in considerazione. Si è consacrati per il Regno di Dio, per appartenervi personalmente (vocazione) e per favorire l’ingresso e la partecipazione di altri al Regno stesso (missione). Questi elementi, nel loro insieme, sono presenti nella bella espressione dell’apostolo Paolo di Rm 14,17-19:
“Il Regno di Dio, infatti, non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia mediante lo Spirito Santo. E’ servendo Cristo in questo modo che si è accetti a Dio e stimati dagli uomini. Ricerchiamo dunque ciò che favorisce la pace e quello che è reciprocamente costruttivo”.
In queste righe Paolo considera che l’uomo non è un’isola ma che appunto è in relazione a Dio e agli uomini. Ora chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. Quali sono queste cose o questo modo di servire il Cristo che rendono accetti a Dio e stimati e approvati dagli uomini? Non sono certo, dice Paolo, alcune prescrizioni o tradizioni o consuetudini culturali particolari che provengono dagli uomini, ma tra i tanti frutti dello Spirito. Egli richiama qui la giustizia, la pace e la gioia mediante lo Spirito Santo. In questi doni, dice, consiste il Regno di Dio nel mondo.
Il consacrato secolare entra in relazione con gli altri attraverso le sue azioni ed influisce su di loro. Non saranno perciò gli atti religiosi nostri privati ad avere l’importanza principale nella testimonianza del consacrato secolare, ma la testimonianza dei valori propri del Regno perché doni dello Spirito. In questa prospettiva il servizio reso a Cristo si misura sulla rettitudine e sulla solidarietà verso gli uomini come frutto della nostra obbedienza al Signore e docilità al suo Spirito. L’atteggiamento in questione, quello richiesto dal Regno, insiste Paolo, e possibile ‘mediante lo Spirito’. Ecco perché solo una solida vita spirituale, alimentata dalla preghiera e dai sacramenti, rende possibile all’uomo l’autentico stile di vita di Cristo, in quanto esso è frutto dell’azione dello Spirito Santo in chi si lascia guidare dallo Spirito.
Servire Cristo per mezzo dello Spirito nella giustizia, nella pace e nella gioia è anticipare il Regno, vivere già nel tempo presente ciò che proprio del Regno futuro.
Questa visione dell’Apostolo Paolo è illuminante e di importanza fondamentale per la vita nella consacrazione secolare, forma specifica di vita cristiana. I tre termini, giustizia, pace e gioia vanno considerati nel loro insieme. La ‘giustizia’ in Paolo è innanzitutto azione di Dio: è realtà definitiva introdotta nel mondo grazie alla redenzione di Gesù Cristo (giustizia misericordiosa) per la quale egli ci ha riconciliati con sé, ristabilendo la pace. Il risultato dell’opera della giustizia di Dio in noi (giustificazione) è la pace. Alla pace Paolo aggiunge la gioia, dove si vede che la giustizia si identifica con la pace e la gioia, cioè con i doni dello Spirito.
Tutta la vita del cristiano caratterizzata dalle virtù è frutto dell’azione dello Spirito. L’attività cristiana ha luogo dunque sotto il normale impulso dello Spirito. Quel che noi compiamo di bene, è lo Spirito a produrlo in noi. Ecco perché le nostre opere buone provengono dalla fede, cioè dal nostro abbandonarci alla ‘giustizia’ di Dio in noi, alla sua azione liberatrice, perdonante e santificante. Grazie allo Spirito noi siamo santi, figli di Dio, tempio dello Spirito, creature nuove, capaci di compiere le opere buone. La tensione della nostra vita spirituale nasce dal contrasto tra l’impulso dello Spirito che ci spinge alle opere della carità e la possibilità che ci rimane di sottrarci all’azione dello Spirito e di ricadere nelle ‘opere della carne’.
Emerge così il ruolo della grazia, della preghiera che la ottiene, della maturazione del cammino di fede che ci rende sempre più docili e disponibili all’azione dello Spirito Santo, per sviluppare una sempre maggiore collaborazione tra la grazia e la nostra libertà personale cosicché va crescendo sempre più anche la nostra vita morale secondo le esigenze dello Spirito. In Rm 15,2-3 l’Apostolo prosegue: “Ognuno di noi faccia ciò che è gradito al prossimo, agendo per il suo bene e con scopo costruttivo. Anche Cristo, infatti, non visse per compiacere se stesso…”.
Perché noi siamo nuova creazione, perché la nostra esistenza sia veramente cristiana, personale, radicata nella nostra intelligenza e volontà, occorre che il nostro essere sia trasformato nell’intimo di noi stessi. Per mezzo della fede il cristiano accetta il dono di Dio che lo trasforma con la sua potenza, e gradualmente conosce, scopre e contempla il mistero del disegno di Dio. Scriveva ancora Paolo VI: “La vostra consacrazione evidenzia, da un lato, la particolare grazia che vi viene dallo Spirito per la realizzazione della vocazione, dall’altro, vi impegna ad una totale docilità di mente, di cuore e di volontà al progetto di Dio Padre rivelato in Cristo Gesù, alla cui sequela radicale siete stati chiamati. Ogni incontro con Cristo chiede un cambiamento profondo di mentalità, ma per alcuni, com’è stato per voi, la richiesta del Signore è particolarmente esigente: lasciare tutto, perché Dio è tutto e sarà tutto nella vostra vita. Non si tratta semplicemente di un diverso modo di rapportarvi a Cristo e di esprimere la vostra adesione a Lui, ma di una scelta di Dio che, in modo stabile, richiede da voi una fiducia assolutamente totale in Lui. Conformare la propria vita a quella di Cristo entrando in queste parole, conformare la propria vita a quella di Cristo attraverso la pratica dei consigli evangelici, è una nota fondamentale e vincolante che, nella sua specificità, richiede impegni e gesti concreti”.
Questa nuova visione gli dischiude gli orizzonti nuovi che fondano la speranza e con essa la gioia di comunicarla e annunciarla anche ad altri, con la Parola del vangelo e con la testimonianza della vita evangelica.
Seconda Relazione
- “… quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo” (1 Cor 7,31). L’atteggiamento della consacrata secolare
Io penso che perché i singoli gesti di vita cristiana evangelica non siano solo saltuari e legati a particolari momenti, ma permangano come attitudine di vita, abbiamo bisogno di maturare degli atteggiamenti interiori, cioè dei modi usuali di considerare le persone e le cose e le nostre relazioni con loro.
Viviamo in tempi in cui mancano ‘seminatori di speranza’. Lo sguardo dell’uomo su se stesso e sul mondo è prevalentemente caratterizzato da ciò che può programmare e fare l’uomo. Manca una prospettiva che si ispiri ad un progetto che va oltre quanto può programmare, prevedere e progettare l’uomo. Prevale la concezione del mondo come realtà da sfruttare e non come simbolo dove cercare il senso dell’esistenza, il senso di Dio e dell’uomo stesso, senza riferimento alla progettualità espressa nella Rivelazione biblica che orienta e anima tutta l’attività degli uomini, alle cui mani operose Dio ha affidato l’Universo.
La speranza cristiana costituisce il modo di stare nel mondo del cristiano. Il ‘presente’ di ciascuno va quindi vissuto con la consapevolezza di un prima di noi e un dopo di noi più grandi di noi. Bisogna giungere a cogliere quel progetto che ci oltrepassa e che sta andando a compimento. L’uomo religioso misura il tempo sull’assoluto. La prospettiva dell’incontro con il Signore impedisce al cristiano di avere nella prospettiva temporale l’unico punto di riferimento delle sue azioni. Ogni credente vive la tensione tra lo stare in questo mondo e l’anelare al mondo futuro. E’ a partire da questa visione che Paolo proclama: « Passa la scena di questo mondo” (1 Cor 7,31).
Il passo di 1 Cor 7,29-31 afferma che sì che i cristiani usano del mondo come gli altri uomini, ma vi aggiunge anche un ‘come se no l’usassero appieno’. Con questa precisazione l’Apostolo Paolo intende dire che il credente in Cristo pone altrove la sua solida e grande speranza. Egli ha consapevolezza di vivere nel tempo che intercorre tra la vittoria di Cristo (morte e risurrezione) e la sua manifestazione gloriosa (il secondo avvento o l’incontro definitivo con Lui). Questo tempo è dunque tempo di attesa, di pazienza divina, di penitenza, di lotta, ma anche e soprattutto di grazia; è il tempo della chiesa la quale è già, in questo mondo, se non il « regno di Dio » nella sua pienezza, è un’anticipazione di esso. Il Regno di Cristo è la realtà definitiva che si va costruendo e in cui si manifestano, grazie ai doni dello Spirito la rigenerazione e santificazione dei credenti.
Quale atteggiamento personale assumere allora di fronte al nostro mondo presente? L’esistenza della Chiesa è fin dal tempo presente una « esistenza escatologica », esistenza cioè anticipatrice di chi “è nel mondo senza essere del mondo” (Gv17,16), vivendo perciò in quell’attesa, considerando provvisorio tutto ciò che si riferisce al mondo. Quindi anche l’uso di tutto ciò che è nel mondo e del mondo stesso è vissuto come elemento transitorio il cui fine è di preparare qualcosa di stabile: “Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!”
Con il termine biblico « speranza » si intende il senso di viva attesa degli ultimi giorni in cui Dio radunando definitivamente il suo popolo intorno a Lui, effonderà il suo spirito su ogni carne, manderà la figura del liberatore che raccoglierà le pecore disperse del popolo di Israele.
L’atteggiamento del cristiano di fronte ai valori del mondo presente è caratterizzato principalmente dalla speranza e dalla ‘pazienza’. A sua volta poi la speranza si traduce in gioia come dice in Rm 12,12: “Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera…”con la consapevolezza però che la sua vita, presente e futura, è “essere con Lui”.
La seconda venuta del Signore poi è riletta a partire dalla relazione di fede con Cristo. Il cuore del messaggio escatologico è rappresentato dalla relazione o dalla partecipazione alla vita di Cristo, sintetizzata dalla formula «in Cristo», in vista dell’essere «con Cristo»: l’essere «in Cristo» oggi, fonda e apre all’essere «con Cristo» domani. Tensione escatologica vuol dire vivere l’attesa dell’incontro con il Signore, per essere “radunati per mezzo di Gesù insieme con lui” e per “essere sempre con il Signore” (1 Ts 4,17). Il fondamento di questa speranza è la fede in Cristo morto e risorto.
Scrive ancora Paolo VI: “Con tutti gli uomini di buona volontà, lui pure è impegnato nel compito di edificare il mondo e di contribuire al bene dell’umanità, operando secondo la legittima autonomia delle realtà terrene (cfr. GS 34 e 36). Il nuovo rapporto al mondo, infatti, nulla toglie all’ordine naturale e, se comporta una rottura con il mondo in quanto realtà opposta alla vita della grazia e all’attesa del Regno eterno, allo stesso tempo comporta la volontà di operare nella carità di Cristo per la salvezza del mondo, cioè per condurre gli uomini alla vita della fede e per riordinare in quanto possibile le realtà temporali secondo il disegno di Dio, affinché esse servano alla crescita dell’uomo nella grazia per la vita eterna (cfr. AA 7).
E’ vivendo questo rapporto nuovo al mondo che i battezzati cooperano in Cristo alla sua redenzione. Quindi la secolarità di un battezzato, vista come esistenza in questo mondo e partecipazione alle sue varie attività, può essere intesa soltanto nel quadro di questo rapporto essenziale, qualunque sia la sua forma concreta”.
Una scorsa su alcuni testi di san Paolo ci offre l’orizzonte da cui guardare al nostro presente e quali attese si aprono per noi.
– 1Cor 15,19: “Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini”.
– 2Cor 3,11-12: “Se dunque ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo. Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza…”.
– Ef 1,18-20: “Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli…”.
– Col 1,5-6: “in vista della speranza che vi attende nei cieli. Di questa speranza voi avete già udito l’annunzio dalla parola di verità del vangelo che è giunto a voi…”.
– 1Tm 4,5-6: “…perché esso viene reso santo dalla parola di Dio e dalla preghiera. Proponendo queste cose ai fratelli, sarai un buon ministro di Gesù Cristo…”.
– Ebr 6,18-19: “Noi che abbiamo cercato rifugio in lui avessimo un grande incoraggiamento nell’afferrarci saldamente alla speranza che ci è posta davanti. In essa, infatti, noi abbiamo come un’àncora della nostra vita, sicura e salda…”.
– Ebr 10,23: “Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è fedele colui che ha promesso”.
Alcuni pensieri… dalle Omelie di Mons Adriano Tessarollo
Assistente Ecclesiastico del Consiglio della Federazione
Salesianum 22 luglio S. Maria Maddalena
Diamo inizio al nostro convegno dal titolo Secolarità consacrata nella memoria di S. Maria Maddalena.
Maria Maddalena appare come in cerca di felicità e la sua vita ebbe una svolta quando lungo le sponde del lago di Galilea ha incontrato Gesù. E’ incominciata allora per lei una vita nuova. Potremmo dire che da quel momento ha consacrato la sua vita alla sequela di Cristo. Entrò nel numero di quelle donne che hanno seguito Gesù dalla Galilea fino a Gerusalemme, di quelle donne che erano accanto a Lui alla Croce e alla sepoltura. Maria Maddalena è anche la prima donna che ha incontrato il Signore risorto, la prima di tutti i discepoli, anche degli apostoli.
Il suo itinerario di ricerca del Signore è stato guidato dalle aspirazioni profonde del suo cuore che cercava la felicità, l’amore, il dialogo. Queste aspirazioni sono state appagate quando nella sua vita ha incontrato Gesù di Nazaret, che le ha proposto di seguirlo nella via dell’amore a Dio e ai fratelli. Quell’incontro l’ha trasformarla in discepola e serva il Signore tanto da divenire parte del gruppo delle donne che hanno seguito Gesù dalla Galilea fino a Gerusalemme e che hanno servito Lui e i Dodici anche con i loro beni (Lc 1-3).
Possiamo vedere nell’esperienza di Maria Maddalena un’immagine del nostro cammino di fede e di consacrazione come invito e scelta di orientare la nostra vita al servizio di Lui e della Chiesa.
La pagina del Cantico dei Cantici (3,1-4a) che abbiamo ascoltato dà forte risalto a questa ricerca del Signore: Voglio cercare l’amato del mio cuore… trovai l’amato del mio cuore. Si tratta della ricerca di Dio espressa con il linguaggio profondo dei sentimenti umani. Servire il Signore non è reprimere, cancellare, non tenere in considerazione i sentimenti umani, perché questi sentimenti sono sacramento dell’incontro con Dio, cioè lo favoriscono e lo manifestano.
A questo proposito mi soffermo a commentare il Salmo 62 che abbiamo ascoltato. E’ un salmo che ci fa sentire la vita come la ricerca appassionata di Dio e che prospetta e canta la gioia dell’incontro e del possesso di Dio.
Potremmo così comprendere la vita di consacrazione non solo come un votarsi al servizio ma principalmente come un lasciarsi possedere da Dio. La consacrazione diventa così esperienza mistica di reciproca appartenenza. Nel salmo è espressa questa reciproca appartenenza con le immagini reali e sensibili che segnano la vita di tutti i giorni.
– O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora ti cerco…Ogni giorno noi ci alziamo, la vita ricomincia. Il salmista inizia la sua giornata: la sua preghiera non è rivolta a Dio genericamente ma al ‘suo’ Dio, con il quale c’è un rapporto di reciproca appartenenza e fedeltà. Aprire gli occhi è già cominciare la giornata con una ricerca di Dio.
– A te anela la mia carne, di te ha sete l’anima mia, come terra deserta, arida, senz’acqua… Il tema della sete evidenzia il desiderio profondo e il bisogno vitale. Il riferimento è alla sete dell’uomo e di ogni essere vivente che senza acqua morirebbe. Come può vivere l’uomo senza Dio?
– Così nel santuario ti ho contemplato… Come risponde questo cercatore di Dio al suo desiderio di Dio? Per il salmista il Tempio è il simbolo principale della presenza di Dio sulla terra. Gesù ci ha detto che Lui é il nuovo tempio in cui incontriamo Dio; il nostro rapporto avviene con il Padre, nello Spirito, attraverso di Lui, il Figlio. Apriamo la nostra giornata desiderosi di contemplare e raggiungere i segni della sua presenza.
– La tua grazia vale più della vita. Che cosa gli chiediamo, che cosa ci aspettiamo da Lui? La grazia è la fedeltà misericordiosa con la quale Dio ci accoglie. Ripensiamo all’immagine evangelica del figlio che si è allontanato da casa e quando ritorna il Padre gli corre incontro, lo abbraccia.
– Le mie labbra diranno la tua lode… La preghiera di lode che apre la giornata è la gioia di esprimere il nostro grazie per l’amore del Signore.
– Così ti benedirò per tutta la vita: nel tuo nome alzerò le mie mani… Con voci di gioia ti loderà la mia bocca… La preghiera è continuo rendimento di lode al Signore per la sua grazia che ci accompagna, insieme ai fratelli.
– Mi sazierò come a lauto convito… Nel nostro rapporto con il Signore, la nostra anima si sazia di Lui. Noi abbiamo il sacramento che Gesù ha voluto darci come elemento principe della preghiera. L’Eucarestia è saziarci di Lui, fraternamente, insieme con gli altri. L’Eucarestia è un banchetto, noi insieme ci nutriamo della Parola scritta e del Pane offerto per noi.
– Nel mio giaciglio di te mi ricordo, penso a te nelle veglie notturne…La giornata si conclude nella memoria del Signore e del suo amore. E se nella notte il salmista riapre gli occhi, il pensiero torna a Lui il Signore, perché la giornata vissuta è stata un’esperienza di Lui.
– Tu sei stato il mio aiuto, esulto di gioia all’ombra delle tue ali… La vita talvolta è segnata da paure, timori, minacce. Come l’uccellino nel nido teme i rapaci che possono minacciare la sua vita, ma si sente sicuro se protetto sotto le ali della sua madre, così l’orante si sente protetto da Dio, la sua presenza gli dà sicurezza.
– A te si stringe l’anima mia… La forza della tua destra mi sostiene… La preghiera si conclude in un abbraccio affettuoso tra l’orante e il suo Signore: un abbraccio che non è un congedo ma l’espressione per dire “stiamo sempre uniti insieme”. L’orante si sente come un bambino sostenuto saldamente nel braccio del papà o della mamma perciò lui si sente al sicuro.
Maria Maddalena, può diventare icona della nostra vita di consacrate: un cammino all’insegna dell’incontro con Dio dal quale si riceve sicurezza e gioia, nella certezza che Dio ci accompagna con la sua forza, la sua grazia e la sua misericordia.
Salesianum 23 luglio
Il popolo del Dio della Bibbia è nato da due esperienze fondanti.
La prima è l’esperienza dell’Esodo, nella quale Dio, attraverso un mediatore, Mosè, si è dato a conoscere al suo popolo come guida, come liberatore e come “Parola” che illumina il senso e la qualità della vita dell’uomo. Da questa esperienza è nato il popolo dell’Antica Alleanza.
Il popolo della Nuova Alleanza ha portato a compimento l’esperienza della rivelazione di Dio nel suo Figlio Gesù Cristo che è diventato la Parola del Padre, la Verità del Padre, la nuova guida del nuovo popolo, il liberatore definitivo.
Nell’esperienza della rivelazione Dio comunica se stesso all’uomo. Il punto più alto della rivelazione, la finalità della rivelazione, è Dio stesso che comunica se stesso all’uomo e lo invita alla comunione con sè, si dà a conoscere, si fa trovare dall’uomo. Anche il senso del creato e della vita dell’uomo è dono della rivelazione divina. La rivelazione avviene attraverso esperienze umane attraverso le quali l’uomo esperimenta e riconosce l’azione e la presenza divina.
Ma quale l’atteggiamento dell’uomo di fronte alla rivelazione divina?
Il vangelo che abbiamo ascoltato mette in guardia dal pericolo dell’incredulità. L’incredulità è la reazione dell’uomo che non vuole vedere i segni che Dio opera, non vuole sentire le parole che Dio gli rivolge, non accoglie gli inviti che Dio gli offre: insomma non accoglie né il messaggio né la persona di Dio. L’atto di fede è l’atto con il quale l’uomo si apre amorevolmente a Dio e accoglie con disponibilità la sua rivelazione
L’atteggiamento di non accoglienza è definito con questi termini: cecità, orecchi chiusi, cuore ostinato, dura cervice… La ‘dura cervice’ esprime l’atto con cui diciamo di no al Signore, è avere il collo rigido, il capo innalzato per dire di no (alla maniera orientale), anziché chinare il capo per dire sì, in segno di accoglienza.
Chiediamo allora al Signore che ci dia occhi per vedere, orecchi per ascoltare, cuore disponibile ad accogliere i piccoli, ma reali segni delle sue manifestazioni. Non possono essere sempre grandiosi come la teofania del Sinai, non possono essere sempre visibilmente compresi come la manifestazione del Figlio di Dio nella sua vita terrena. Ma questi piccoli segni, sono altrettanto reali, spirituali, cioè frutti dell’azione dello Spirito con cui Egli, non soltanto attraverso la sacralità di mediatori grandi come Mosè o come Gesù, ma anche attraverso le piccole mediazioni sacramentali si manifesta: la Parola di Dio scritta, trasmessa dalla Chiesa, le luci di Dio nel cuore delle nostre coscienze, la Parola del Signore che ci viene attraverso gli inviti fraterni di chi ci sta accanto. Sono i piccoli segni che toccano la vita di tutti i giorni, le azioni buone dei nostri fratelli nei nostri confronti, i tanti segni nel creato. Bisogna avere occhi per vedere per non sentici dire dal profeta Isaia: “Hanno occhi e non vedono, anno orecchi e non odono…”.
Così sono state anche le esperienze dei santi, di coloro cioè che hanno vissuto la loro vita con cuore aperto ad accogliere, con orecchi aperti per ascoltare e con occhi aperti per vedere e così incontrare il Signore. Lo hanno visto, lo hanno ascoltato, si sono avvicinati attraverso la quantità dei segni sacramentali e umani, i segni che ci vengono dalla Parola, il Pane, il Battesimo, i sacramenti. Ma anche i segni nella vita umana: la bontà di tante persone, anche qualche evento straordinario che ha toccato il cuore di persone che hanno inteso incontrare il messaggio del Signore.
Quante volte si parla di visioni: anche S. Angela fa riferimento alla comunicazione divina avuta nella visione del Brudazzo. Forse noi pensiamo alle visioni in termini di esperienze fisiche. Si tratta di profonde esperienze spirituali che toccano il cuore e la mente, che cambiano la vita e la storia di una persona. Sono tanti segni attraverso i quali il Signore ci parla. E nella storia, come dice la lettera agli Ebrei, Dio ha parlato in molti modi, in molte maniere, nei tempi antichi, ma principalmente ha parlato a noi per mezzo del suo Figlio diletto, e continua a parlare anche a noi, nella Chiesa, nella nostra storia, nelle nostre vicende, nelle vicende di chi ci sta attorno e ci sta accanto.
Chiediamo al Signore che ci dia occhi per vedere, orecchi per sentire, e cuore disposto a convertirsi.
Basilica di S. Paolo fuori le Mura 24 luglio
Siamo in questa Basilica di San Paolo a vivere questo giorno del nostro convegno sulla tomba dell’Apostolo Paolo un mese dopo la conclusione dell’anno paolino.
Paolo era giunto a Roma negli anni 60 per esservi giudicato. E’ stato decapitato alle Tre Fontane a circa 3 Km da questa Basilica dove vi è stato sepolto in quanto area sepolcrale. Fu possibile seppellire l’apostolo Paolo in una necropoli romana, anche se cristiano, in quanto era cittadino romano. Sappiamo che la sua tomba è stata oggetto di venerazione e sopra di essa, durante i primi due secoli di persecuzione, i cristiani potevano recarsi a pregare privatamente attingendo dalla testimonianza e dalla forza dell’Apostolo Paolo la forza per proseguire anche loro l’opera evangelizzatrice. Sotto l’altare papale è visibile una lastra di marmo che copre l’iscrizione: Paolo Apostolo Martire. Sopra la tomba è stata costruita questa Basilica che ha accompagnato tutta la storia del cristianesimo dell’occidente.
Come ricordava il Papa alla conclusione dell’anno paolino, in questa Chiesa, recentissimamente è stata praticata nella tomba una piccola perforazione e introdotta una speciale sonda, mediante la quale sono state ritrovate le tracce di un prezioso tessuto di lino, colorato di porpora, laminato con oro zecchino, un tessuto di colore azzurro, sempre di lino, la presenza di grani di incenso rosso e anche piccolissimi frammenti ossei. Questi, sottoposti all’esame del carbonio 14, da parte di esperti che non sapevano da dove venissero questi reperti, hanno concluso che appartenevano ad una persona vissuta tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo e dunque giusto il tempo in cui Paolo è stato sepolto in questa tomba.
Diceva ancora il Papa, che è convinzione unanime, incontrastata tradizione, che si tratti proprio dei resti mortali dell’Apostolo Paolo e questo suscita una certa emozione per questa presenza dell’Apostolo che ha percorso durante la sua vita le vie dell’allora impero romano per annunciare la sua esperienza dell’incontro con il Risorto, solcando il mediterraneo e le terre circostanti per portare il Vangelo. Al portico di ingresso alla Chiesa, sul lato destro è stata posta una fiamma accesa, che arde in continuità, per ricordare la luce e la forza del Vangelo annunciato da Paolo Apostolo. Per questo annunzio Paolo ha incontrato opposizioni fino al martirio incontrando e suscitando però anche numerose adesioni. Il suo ultimo annuncio è avvenuto nella Chiesa di Roma, alla quale ha indirizzato la più grande e la più importante delle sue lettere.
Il Papa stesso ha auspicato che il cammino proposto ai fedeli nell’anno paolino possa continuare, perché sull’esempio di Paolo anche oggi cresciamo continuamente nella conoscenza di Gesù, nell’esperienza di Lui, per essere illuminati e trasformati dal Vangelo. E’ questa la vocazione di ogni esistenza cristiana. S. Paolo, maestro delle genti, rimane ancora colui che vuole continuamente portare il messaggio del Risorto a tutti gli uomini, perché Cristo ha amato tutti, è morto per tutti, è risorto per tutti. Se volessimo riassumere l’esperienza cristiana a partire dal messaggio di Paolo ai cristiani di Roma, dovremmo dire che l’essenza della vita cristiana è novità, in quanto con Cristo è iniziato un nuovo modo di adorare Dio, è iniziato un nuovo culto. Il nuovo culto consiste nel fatto che l’uomo diventa egli stesso, con la sua vita, adorazione, sacrificio vissuto nel proprio corpo, nelle proprie azioni, nella propria esistenza. Non sono più le cose ad essere offerte a Dio, è la nostra stessa esistenza che deve diventare offerta.
E come avviene questo nuovo culto? S. Paolo dice: Non conformatevi…ma lasciatevi trasformare, rinnovando il vostro modo di pensare per poter scoprire la volontà di Dio. Ecco dunque le due parole chiave che ricordava il Papa: trasformare e rinnovare la nostra vita. Diventare cioè uomini nuovi, trasformare in modo nuovo l’esistenza. Al centro della vita cristiana sta proprio questo continuo rinnovamento. Solo se noi stessi diventiamo nuovi è possibile pensare che il mondo diventi nuovo.
Scriveva Paolo ai Corinzi: Se uno è in Cristo è una creatura nuova, le cose vecchie sono passate, ne sono nate di nuove. Paolo, nell’incontro con Cristo, ha sperimentato questa novità di vita, quando dice di essere diventato un altro. Egli afferma di sé che non vive più per se stesso, ma dopo l’incontro con Cristo, ha cominciato a vivere per Cristo e in Cristo! Un inizio di rinnovamento e di trasformazione che l’ha accompagnato per tutto l’arco della vita.
Questo deve diventare anche il nostro cammino cristiano: diventare nuovi. Ricordiamo quell’espressione: quando l’uomo esteriore cade in rovina, l’uomo interiore si rinnovella di giorno in giorno. E’ l’invito a diventare continuamente nuovi, lasciandoci afferrare e plasmare dall’Uomo nuovo, Gesù Cristo. Egli è l’Uomo nuovo per eccellenza. Siamo chiamati trasformare continuamente noi stessi, a rinnovare il nostro modo di pensare. Questo significa imparare a vedere il mondo, a comprendere la realtà da questo fondamento nuovo che è Gesù Cristo. Paolo insiste sul contrasto fra l’uomo vecchio e l’uomo nuovo, il pensare vecchio e il pensare nuovo. Il pensiero dell’uomo vecchio, il modo di pensare corrente e comune, è un modo di procedere verso il successo, il benessere, l’influenza, la fama… e così via. L’io sembra essere il centro del mondo. Paolo ci invita a imparare a pensare in maniera nuova, cioè bisogna imparare a comprendere la volontà di Dio così che la sua volontà diventi la nostra, affinché noi stessi impariamo a volere ciò che vuole il Signore, impariamo a conoscere che ciò che Dio vuole è il bello e il buono. Si tratta dunque di dare una svolta nel nostro orientamento spirituale. L’esperienza di Paolo è stata questa grande svolta del modo di pensare perché Dio è entrato nell’orizzonte del suo pensiero.
Chiediamo all’Apostolo Paolo che aiuti anche noi a vivere quotidianamente questa esperienza di rinnovamento e di trasformazione, imparando a prendere parte al pensare e al volere di Gesù Cristo: allora diventeremo quegli uomini nuovi nei quali e dai quali emerge il nuovo mondo.
Per far questo abbiamo bisogno di rafforzare la nostra vita interiore, di ricordare la capacità di vedere e di comprendere il mondo con gli occhi di Dio. Tutto questo è possibile solo attraverso un intimo rapporto con Dio che si coltiva nella preghiera. Paolo è mistico proprio perché ha imparato a vivere questa profonda comunione e appartenenza. E’ quasi un uscire da se stessi per immedesimarsi in Cristo. Al riguardo Paolo dice che Cristo abita per mezzo della fede nei nostri cuori e così anche noi, radicati e fondati nella carità, saremmo in grado di comprendere in ampiezza, lunghezza, altezza e profondità… la grande estensione in cui si concretizza l’amore di Cristo.
Vogliamo concludere pregando il Signore affinché, per intercessione e sull’esempio dell’Apostolo Paolo, anche noi siamo aiutati a conoscere, qualcosa almeno, della vastità del suo amore. Domandiamo che il suo amore e la sua verità dominino i nostri cuori, chiediamo che Cristo abiti nei nostri cuori, ci renda uomini nuovi che agiscono secondo verità nella carità.